Presentazione a cura di Danilo Bianchi - 2001
Che cosa c'entra la scultura con la matematica?
È così improbabile che Arnoldo Arrigoni, ancora adolescente, già pensasse alla matematica quando si divertiva a incidere il legno per formarvi figure che a distanza di parecchi anni sono quasi miracolosamente riapparse nella casa di un'anziana zia?
Non si sarà mai interrogato, da giovane studente, mentre seguiva quasi parallelamente i corsi accademici di matematica e quelli della Kunstgewerbeschule , sulla natura della sua passione per due discipline apparentemente così inconciliabili ricercando, magari proprio per questo motivo, ma inconsapevolmente, qualche punto d'incontro simile a quelli che la storia del sapere scientifico e quella del sapere artistico hanno sempre favoriti? Si pensi ai tempi lunghi degli esordi che segnarono in matematica il passaggio dalle quantità ai numeri o l'affermazione del sistema posizionale; a quelli che permisero all'arte greca di passare dalla figura statica del kouros alla statua "canonica" di Policleto dando a quest'ultima "la possibilità del movimento, arricchendola di plasticità e costruendola con un sistema equilibrato di proporzioni." [1]
Oppure si pensi al ruolo che la misura e i rapporti matematici hanno avuto nel definire la "divina proporzione" e nel realizzare quello che, in certe espressioni artistiche, veniva ritenuto il perfetto equilibrio tra le dimensioni delle forme.
Forse il giovane laureato non era rimasto indifferente al fascino estetico, e di una certa purezza, della disciplina studiata, così come l'ha descritto di recente un eminente matematico: "La nostra cultura ci ha insegnato ad apprezzare l'eccitazione intellettuale della matematica, l'eleganza e la semplicità delle sue strutture, la libertà di seguire gli sviluppi di problemi interessanti, dovunque essi possano portare." [2]
Sicuramente però, al di là dei complicati processi di astrazione che possono riguardare qualsiasi attività creativa sia sul piano scientifico sia su quello artistico, al profondo senso della realtà e alla particolare sensibilità d'animo di Arnoldo Arrigoni non può essere sfuggita la, se pur lontana, affinità fra lo studio del mondo fisico e l'arte di figurare masse corporee.
Non essendo uno scultore di professione, Arnoldo ha dichiarato fin dall'inizio, fin da quando cioè ha cominciato a rifugiarsi sempre più regolarmente nella sua cantina-atelier per dedicarsi assiduamente all'attività scultorea, quali fossero le sue preferenze estetiche. Da tempo egli nutriva una particolare ammirazione per la scultura figurativa di Giacometti ed è a questo protagonista dell'arte del Novecento che si ispirano molte delle sue opere, realizzate utilizzando anche gli stessi materiali, come il gesso e il bronzo. Questo bisogno di esprimersi attraverso l'evidenza di linee e forme in buona parte mediate dall'adesione a un modello, col quale egli non intende misurarsi, rivela una sorta di subordinazione del risultato estetico alla volontà di modellare per cercare in primo luogo di comunicare: nei pochi casi in cui le sue figure filiformi sono sole, esse non rappresentano dunque una condizione umana e esistenziale legata alla solitudine, giacché la dinamica dei loro gesti ben marcati non le fa apparire come fragili o corrose dallo spazio che le circonda; sono figure che cercano di stabilire un dialogo immediato con il fruitore perché diventi il destinatario di un messaggio di ampia e umana solidarietà. Non a caso, proprio nella scultura di più diretta ascendenza giacomettiana, In piazza - che porta quasi lo stesso titolo -, le figure, contrariamente al modello, "si muovono" nello spazio e cercano un contatto, formando un capannello. In altri casi esse interagiscono plasticamente, dando luogo a un Incontro , a una composizione con Tre Grazie [3], a un cerchio di Cinque uomini .
La disposizione in circolo è una struttura rappresentativa che ricorre anche in altre sculture che sono il risultato di una convincente intersezione fra una perdita di dinamismo e un crescente processo di astrazione, ottenuto anche attraverso l'accentuazione di una morbida linearità e di una delimitazione plastica delle superfici levigate. L'eleganza e la semplicità della loro struttura così come la loro purezza formale - che potrebbe ricordare certi esiti plastici di Hans Arp -, conferiscono loro un grado di astrazione tale da renderle anche - nel caso di Sfiorarsi anche tecnicamente - interscambiabili, come se per loro valesse, in qualche modo, "la proprietà commutativa". Si tratta dunque di sculture che non cercano più soltanto di comunicare, ma che rappresentano la comunicazione stessa, essendo le figure in contatto fra loro, sfiorandosi o avvolgendosi. Come dire che, Arnoldo Arrigoni, riesce a realizzare attraverso la scultura quello che è poco probabile ottenere attraverso la matematica.
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[1] Ranuccio Bianchi Bandinelli, Introduzione all'archeologia classica come storia dell'arte antica, a.c. di Luisa Franchi dell'Orto, Roma-Bari 1976 (Universale Laterza 334), p. 33.
[2] Osservazione di Philip Griffiths tratta da Mathematics towards the Third Millennium, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 2000 e citata nella recensione di Umberto Bottazzini, Verso il dominio delle probabilità, IL SOLE-24 ORE, 29 aprile 2001, p. VIII.