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Presentazione a cura di Franco Zambelloni - 2004

La felice stagione di Arrigoni

Una delle cose che apprezzo maggiormente nelle sculture di Arrigoni è che non contengono la minima volontà di provocazione. Ammiro questa assenza per due motivi: il primo è che lo scultore non segue le mode - giacché troppo spesso oggi, se vuoi essere à la page, devi appunto "provocare", confondere il bello col brutto o con lo sgradevole, dissacrare qualcosa e irridere; e Arrigoni non fa nulla di tutto questo. Il secondo motivo è che, rinunciando a provocare e a sorprendere, la sua scultura non costringe a lambiccarsi il cervello per scovare significati reconditi in opere che non parlano affatto.

Arrigoni va per la sua strada. Non cerca di fare discorsi che prestino un senso a forme incomprensibili, non tenta di colmare un vuoto di significato con la ridondanza delle parole. Lascia che siano le forme a parlare a chi le osserva, se vi riescono.

Così farò anch'io: non cercherò di passare per critico d'arte e di parlare di ascendenze, influenze, tendenze e, magari, scemenze. Dirò quel che provo e penso.

Le forme di queste sculture, ridotte all'essenziale della linea elegante, sono quelle del corpo umano. Eppure quest'arte non è figurativa se non per accenni: non descrive i corpi, ma piuttosto evoca i sentimenti e le emozioni di chi li abita.

Anni fa, quando cominciò a scolpire, Arrigoni seguiva uno stile nettamente diverso dall'attuale. La sua prima maniera è drammatica e inquieta: le sue prime sculture graffiano nello spazio figure umane filiformi e fragili, scarnificate; prevalgono gli spigoli, le punte aguzze, le irregolarità di superficie. La lunghezza delle membra appare sproporzionata e le articolazioni si piegano in angoli acuti di linee spezzate.

Se quelle linee spezzate e contorte evocano l'impressione di dure e sconvolte esperienze, la linea curva e lenta di questa nuova stagione creativa suggerisce invece morbida dolcezza e serena quiete.

Arnoldo Arrigoni è dunque passato dalla prima drammatica maniera a quella serena e calma delle sculture ora esposte. La figura umana continua ad essere il tema dominante e l'oggetto privilegiato di ricerca, ma le superfici lisce e i volumi tondeggianti abbandonano la precedente tensione drammatica per una statica quiete e una riposata armonia.

Osserviamo, come primo esempio, Salto nel continuo      ,che per molte ragioni costituisce una sorta di chiave per entrare nel laboratorio creativo dell'artista. Il corpo femminile giacente è chiaramente riconoscibile nella curva molle dei fianchi e nella sinuosità delle gambe e delle braccia. Ma gli arti, superiori e inferiori, penetrano in profili di monti e vi si fondono: mani e piedi si radicano nella terra e nei suoi rilievi. Una metamorfosi prolunga il nudo di donna nei volumi dell'elemento terra. Sicché il corpo femminile stesso, inscritto in quegli estremi di creste montane, assume senso ambiguo: e potrebbero essere colline e morbidi rilievi di alture quelle stesse curve che a prima vista configuravano un corpo femminile sdraiato.

Sta qui l'idea (o stato d'animo) che ha generato questa scultura: la quiete interiore, indotta dall'amore per la montagna e dagli affetti familiari, si esprime in questa simbiosi della figura umana con l'ambiente. La continuità delle forme suggerisce la fusione dell'uomo nella natura e l'avvolgimento in essa fino all'identificazione.

Anche nelle altre sculture questa conciliazione è presente, pur se detta meno apertamente. Consideriamo Omaggio a Meret O. e Frida     : un volto, in quest'ultimo caso, che traluce appena in una forma cava che lo ammanta come un velo. Un volto incappucciato, enigmatico e seminascosto, racchiuso in una bolla di materia, in una caverna di roccia levigata. O ancora, (Omaggio a Meret O.     ) , un busto di donna appena accennato nelle curve dei seni e nel dilatarsi delle spalle subito troncate, emerge da una concavità oblunga, come un fiore da un vaso, un torso femminile da una lunga gonna, o una Daphne di bronzo da un tronco cavo.

In altri casi le sculture di Arrigoni parlano di relazioni umane. L'idea di fondo è però sempre la stessa: idea di una vicinanza, sogno di una fusione che annulli la distanza e tolga il vuoto della separazione.
In Dolci percezioni     e in Sussurrarsi parole vicine      è l'inclinazione delle figure - stilizzate fino all'essenziale - a suggerire la vicinanza e l'unione; e anche il modo di modellarle - convesse al dorso, concave in fronte - suggerisce l'idea di incompiutezze che si completano a vicenda e che solo nell'unione trovano senso e pienezza. Altrove, invece, la separazione è annullata; la fusione delle masse dalle curve piene, l'aderire di due teste accostate rende perfettamente il titolo dell'opera: Sensazioni comuni      .

Un ultimo esempio, Sentire il silenzio     . Qui la stilizzazione si accentua, la forma umana è scarsamente riconoscibile: i segni sono ridotti al minimo, le figure mute fanno posto al silenzio. Rimane l'alternanza del concavo e del convesso e il ritmo aggraziato delle tre forme vagamente chine, in ascolto. Ermetiche nella loro levigata lucentezza, le figure tacciono il loro senso: giusto compimento di un percorso che conduce verso lo stato d'animo puro, per il quale la forma è solo premessa e presagio. Al di là di quella, aleggia un senso che non si può dire, ma solo sentire e vivere.

OMAGGIO A MERET O.
SALTO NEL CONTINUO
FRIDA
DOLCI PERCEZIONI
SUSSURRARSI PAROLE VICINE
SENSAZIONI COMUNI
SENTIRE IL SILENZIO
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